di un tangente e del nostro pane

 .




Si arraffa un qualche niente

e si ripete

che il tangibile è quanto basta.

Basterebbe un tangente

se non fosse

ch'è lì, a due passi, guasto.



.







immagine:"Maos" di Baciar

(” Annaspando” da Satura – Eugenio Montale)






Si è alla ricerca continua di cose tangibili, non solo cose e non solo materiali, ma piuttosto cose certe, reali, concrete, si annaspa nel tentativo di arraffare ciò che si può toccare, nell'illusione che il conosciuto ci dia sicurezza e ci salvi. Salvo scoprire che non vi è nulla di più effimero della realtà.
Ironicamente, "basterebbe un tangente se non fosse ch’è lì, a due passi, guasto". Crediamo di possedere la capacità di  tangere,  prendere, trattenere. Facoltà che, incredibilmente, scopriamo essere  guasta, inutilizzabile.
Tutto si tiene, ma istante per istante, per poi modificarsi in nuovi e diversi e casuali cumuli, tutto si tiene ma nulla si trattiene. Annaspando.
E allora? come ci si salva? Ci tende la mano l'immaginazione.
Perché la nostra mente è furba. Ha l'abilità, in  situazioni  di difficoltà, di trovare un aggancio, una ragione, una speranza, per ripararsi e continuare a vivere. E, se è vero che la realtà è effimera perché svanisce istante dopo istante, si consuma, muta, non si può trattenere, penso a quanto sia invece duratura ed eterna, “tangente”,  l’immaginazione…. Immaginare è rappresentare un pensiero, disegnare con la mente, inventare ciò che conosciamo, proiettare un’idea, eternare la realtà, varcare i confini della consistenza, evocare la memoria. Così, se ti dico che sto passeggiando in riva al mare tu senti sotto i piedi la sabbia soffice, se ti racconto che ho immerso le mani nel ruscello che attraversa la spiaggia tu senti l’acqua ghiacciata che ti rabbrividisce, se aggiungo che mi sono seduta sulle dune a ridosso della pineta, tu riconosci quel particolare profumo di resina mescolato all’odore di scoglio. Riesci ad immaginare nulla di più reale?
E' una tensione non tangente, che non anela al toccare, all’avere, alla materia, ma al sentire.
E io, sinesteticamente, sento.

Da quando frequento i food-blogs ho manifestato una nuova sinestesia: lo sguardo saporifero, guardo una foto, leggo la ricetta e le papille linguali si allertano, si gonfiano, rievocano gusti conosciuti e amati, l'olfatto amplifica la memoria di profumi esuberanti e volatili, un piacere accattivante comincia ad insinuarsi...nello stomaco!
Sento.
Come quando ho visto il pane di Michela.
Ho sentito il solletico della farina sulla pelle, il profumo di grano che mi invadeva le narici, ho visto il pane gonfiarsi di bontà nel forno.... quando Maria Teresa mi ha chiesto "facciamo una cosa a quattro mani?" è stato naturale rispondere certo che sì, facciamo il pane di Michela! E così, ci siamo messe d'accordo sugli orari, e abbiamo cominciato insieme, ognuna a casa propria, ma insieme. Sei pronta per la biga? riduciamo il lievito? minchia qua fa un caldo! domani trovo l'impasto esploso! vabbè mettiamo 5 grammi e niente copertina. La mattina dopo apro il contenitore e...zaf! una zaffata di alcool che dopo due minuti mi son messa a ballare la tarantella sul tavolo! (come sempre quando sniffo o bevo roba alcolica). Inutile dire che dopo la tarantella ho tentato un intervento d'urgenza sull'impasto mezzo slievitato, praticato la respirazione bolla a bolla, messo nell'impastatrice che dopo l'operazione per rinsaldare la frattura dei ganci non s'è più ripresa, arrivata gente, prima la vicina di casa, sì ok entra scusa ma sto riabilitando la biga comatosa, sì vabbè ti faccio il coffì, sì ok il prezzemolo te lo dò, sì vicinadicasa facciamo due chiacchiere, però scusa vedo un attimo che succede nella planetaria...(una sbobba grigia)...ah vai via??? peccato! intanto Maria Teresa mi mandava le foto del suo meraviglioso impasto tutto tronfio, pieno di arie, poi quelle dentro i forno tutto bello colorato pieno di arie e poi cotto tutto bello croccante e pieno di arie.... il mio a vedere tutta quell'aria je venuto un mancamento.... un guizzo d'orgoglio l'ha portato fin sul filo di lana, non voleva darmi una delusione, ci eravamo parlati, io sono una simpatica e dolce, però suscettibile.... temeva che l'avrei dato in pasto all'unico pesce superstite che mangia così tanto che fra un po' l'acquario nuoterà nella sua pancia, tanto è cresciuto.
Ed eccolo qua, lo smilzo, il pane, dico.
(ma perché quando parlo di cucina sono così prolissa????)


poveretto lo vedete, che scorza sofferente, che semi tramortiti, che forme scomposte, che colorito verdognolo.... l'ho conservato, promettendogli che lo avrei mangiato io, solo io, giammai il pesce e.... ho deciso di rifarlo. (continua...)







(clicca qui per leggere la seconda e ultima puntata) 


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